Latte e latticini, decima tappa: inducono alla dipendenza, anche affettiva

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In questa ultima tappa del nostro viaggio tra gli effetti di latte e latticini sul nostro organismo, esploreremo un’area di confine tra l’organico e lo psicologico. Può un cibo, un componente del cibo, agire sul nostro sistema cerebrale, sulle emozioni e sulle attitudini psicologiche? Certo, perchè la biochimica degli alimenti impatta sulla nostra biochimica e la influenza. Esistono cibi euforizzanti e cibi afrodisiaci; cibi che rilassano; cibi che “scaldano” o “raffreddano” le nostre reazioni. Lo sappiamo già.
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Il latte è il cibo dell’infanzia. E’ un cibo però che non possiamo procurarci da soli, ma che ci viene offerto da qualcun altro più grande di noi, dal quale dipendiamo in tutto. Per questo motivo nei testi sacri è utilizzato come simbolo del nutrimento spirituale donato da Dio. Il desiderio del latte indica psicoanaliticamente la difficoltà ad emanciparsi dalla dipendenza dalla madre e dal ruolo del figlio piccolo; e per estensione la tendenza a dipendere da una figura di riferimento. Saper abbandonare il latte (lo svezzamento) è il primo grande passo di indipendenza che il bambino compie nel percorso di crescita che lo porterà, tra l’altro, a saper procurare cibo reale e simbolico a sè e agli altri.
Il formaggio, invece, che viene lavorato e fatto stagionare in una “forma” da mani esperte, simboleggia l’educazione rigida, che non aiuta il figlio a trovare la sua espressione più compiuta e originale, ma gli impone la “forma” che altri hanno pensato per lui (vedi “Il segreto dei cibi”, Fernando Piterà, Levio Cappello e Manuela Taglietto). Il forte desiderio di formaggio richiama questo tipo di delega ad altri della propria libertà: si tratta quindi ancora una volta di dipendenza, meno simbiotica ma non meno impattante sulla propria libertà di scelta.

Questo effetto e’ confermato dalla ricerca scientifica, la quale ha dimostrato che, quando si consumano latte o formaggi, nel cervello si formano le casomorfine, peptidi dall’effetto oppioide che producono euforia, e suscitano il bisogno di ingerire altro latte/formaggi. Ma non solo… In un articolo online che sintetizza i contenuti del suo libro “Breaking the food seduction”, il dott. Neal Barnard, fondatore e presidente del Comitato dei Medici per una Medicina Responsabile (PCRM), racconta la storia di questa importante scoperta.

Tutto cominciò quando, nel 1981, apparve su Science un articolo in cui Eli Hazum e colleghi informavano la comunità scientifica di aver trovato tracce di morfina nel latte vaccino. La quantità era variabile da campione a campione e non era elevata, tuttavia si trattava di morfina, oppiaceo che dà notevole dipendenza. Ma come era potuta arrivare nel latte? In un primo tempo si teorizzò che dipendesse dalla dieta delle mucche: in fondo la morfina si ottiene dai papaveri ed è anche prodotta naturalmente da altre piante che le mucche potrebbero trovare in natura.  Proseguendo con le ricerche, però, si scoprì che le mucche in realtà producono questa sostanza nel loro corpo: tracce di morfina, codeina ed altri oppiacei sono prodotte nel fegato bovino e finiscono nel latte.Papavero

Era solo l’inizio. Altri ricercatori scoprirono che la caseina, la proteina contenuta in ogni latte, non solo quello vaccino, viene scissa durante la digestione e rilascia una serie di oppiacei chiamati casomorfine. Una tazza di latte di mucca contiene circa sei grammi di caseina; il latte scremato ne contiene di più, e nel formaggio c’è la quantità maggiore in assoluto, perché durante la sua lavorazione e stagionatura perde acqua, proteine ​​del siero e lattosio, concentrando caseina e grasso. Ogni molecola di caseina è formata da una lunga catena di “perle” (ognuna delle quali è un aminoacido) e la digestione frantuma le catene molecolari in casomorfine di varia lunghezza. Per avere un’idea del loro potenziale, una di queste casomorfine, una breve stringa composta solo da 5 aminoacidi, ha circa un decimo del potere analgesico della morfina.

Fino agli anni ’90 i ricercatori hanno pensato che questi frammenti proteici fossero troppo grandi per attraversare la parete intestinale ed entrare nel sangue, eccezion fatta che nel caso dei neonati, il cui tratto digerente non è ancora efficacemente selettivo. Si è quindi teorizzato che gli oppiacei del latte agissero principalmente all’interno del tubo digerente, comunicando col sistema nervoso centrale in modo indiretto, tramite gli ormoni che viaggiano dall’intestino al cervello.
Ma le ricerche condotte in Francia sui volontari nutriti con latte scremato e yogurt hanno permesso di accertare che parte di questi frammenti di caseina sono in grado di penetrare la barriera intestinale e di arrivare nel torrente sanguigno. Essi raggiungono il loro picco di concentrazione circa 40 minuti dopo aver mangiato.
Inoltre il formaggio contiene altri composti farmaco-simili, tra cui una sostanza anfetaminica chiamata feniletilamina, o PEA, che si trova anche nel cioccolato e nella salsiccia. In generale, nei prodotti caseari sono contenuti numerosi ormoni e altri composti chimici i cui effetti non sono ancora stati ben individuati.latticini

Il test del naloxone può dirci qualcosa di più. Il naloxone è un farmaco di sintesi che blocca temporaneamente i recettori degli oppioidi: viene impiegato per testare il coinvolgimento di questi recettori, dunque la presenza di sostanze oppioidi. Quando le persone particolarmente amanti di formaggio (o cioccolato) vengono sottoposte al test del naloxone, crolla il loro desiderio di cibarsi di questi cibi, e di fronte ad un vassioio pieno di prelibatezze casearie o, in altri esperimenti, al cioccolato, non provano più alcun appetito.
Dunque, non possiamo illuderci che gli effetti delle casomorfine non siano rilevanti sul nostro organismo e sulla nostra psiche. Sappiamo che gli oppiacei del latte materno (animale ed umano) hanno un effetto calmante sul bambino e agiscono sul suo cervello in modo da creare una dipendenza verso la madre. Questa dipendenza gli garantisce la possibilità di nutrirsi a sufficienza e crescere bene e gli è indispensabile dal punto di vista biologico: ma come influisce sul cervello di un adulto?  Non basta ipotizzare che il consumo di latticini causi semplicemente il desiderio di cibarsene. La biochimica del cibo ha infatti anche ricadute sul nostro sistema cerebrale e modella le attitudini psicologiche. dépendance affective

Il latte e i suoi derivati sono il segno della dipendenza affettiva. Consumandone, restiamo legati, per così dire “incollati”, ai moti di passività, come il bimbo che prende il latte dipende in tutto e per tutto dalla mamma. Chi tende ad essere dipendente dagli affetti o dalle persone dovrebbe farvi attenzione, per affrancarsi da ogni forma di delega della propria libertà e camminare spedito verso la realizzazione completa. Astenersi dai prodotti caseari aiuta a rompere con questi schematismi, svincolandosi dalle strutture che imprigionano.

Nel caso degli umani i vincoli psicologici hanno anche un aggancio biochimico e una valenza simbolica. Impariamo a tenerne conto. Se festeggiamo il momento in cui il nostro bimbo impara ad usare da solo le posate, non dovremmo forse coltivare la nostra autonomia come un tesoro preziosissimo?

 

LATTE E LATTICINI, UN VIAGGIO TRA LE RAGIONI DEL NO, tutte le tappe precedenti:

Author: Agnese Moretti

Da sempre appassionata dai temi del benessere psicofisico, dell’alimentazione e della medicina naturale, degli stili di vita rispettosi dell’ambiente, dei diritti e della salute umana, della spiritualità, sono psicologa ed attualmente in corso di formazione come naturopata presso l'Istituto di Medicina Naturale di Rimini. Mamma di 4 figli, amo la vita e la natura, e riescono ad affascinarmi ancora le piccole e grandi occasioni di incontrare la bellezza nella vita di ogni giorno.