Dalla comparsa del genere umano Homo, circa 2,4 milioni di anni fa, i nostri antenati hanno vissuto come cacciatori e raccoglitori approssimativamente per 84 mila generazioni. Si spostavano nel loro ambiente naturale nutrendosi del cibo che trovavano e degli animali che cacciavano o pescavano, e non conoscevano né la pastorizia né l’agricoltura. Il loro stile di vita rappresenta uno schema al quale siamo rimasti geneticamente adattati: le modificazioni alimentari e delle abitudini di vita generate dalla rivoluzione agricola, avvenuta solo 350 generazioni fa, non hanno potuto ancora trasformare i nostri requisiti biologici, che si sono evoluti attraverso la selezione naturale lungo migliaia di millenni, e che restano essenzialmente gli stessi dei nostri progenitori dell’Età della Pietra.
Dunque, le più recenti acquisizioni della paleontologia gettano inaspettatamente una nuova luce sulla nutrizione umana: i nostri progenitori del Paleolitico avevano una statura alta e scheletri robusti, ed erano sani ed atletici, mentre i resti umani successivi all’avvento dell’agricoltura e dell’allevamento presentano segni di carie, malformazione ossea, carenza di ferro, decalcificazione, anomalie dovute a malattie infettive.
Queste scoperte sono in linea con le nuove conoscenze relative alle conseguenze di un’alimentazione ad elevato indice glicemico e alla genesi dell’infiammazione silenziosa, frutto dell’abnorme consumo di glucidi (farine, zuccheri) e di latticini che viene fatto nella società occidentale: nell’organismo si accumula progressivamente una grande quantità di mediatori infiammatori, in grado di alterare le funzioni metaboliche e organiche, le funzioni cognitive e lo stato dell’umore, di indebolire il sistema immunitario e l’equilibrio ormonale e di instaurare sovrappeso e obesità.